“Lira” di dio

 Dal tesoro del tempio alle banconote - glossario del credito - parte II 

spada di Damocle come simbolo del rischio per la bancarotta
 

Nell’articolo precedente abbiamo inaugurato un viaggio nelle etimologie dei termini usati per parlare del denaro ed è emerso che molti di essi risalgono a tempi antichissimi, quando l’ordinamento sociale e quindi anche quello economico erano molto diversi da quelli attuali e la ricchezza era qualcosa di visibile e misurabile – di solito il bestiame – a differenza dell’impalpabile denaro digitale che ci troviamo a dover gestire oggigiorno.

Tra i termini da analizzare c’erano infatti i bastoncini di credito e i traveler’s checks, che assieme alle lettere di cambio e alle note di banco, poi banconote, costituiscono un primo passaggio nel processo di astrazione che il concetto di ricchezza ha subito nei millenni.

 

Indice


Stocks o bastoncini di credito

I termini che le civiltà hanno creato per parlare della ricchezza e degli scambi commerciali all’inizio indicavano oggetti materiali che via via si sono smaterializzati, lo vediamo nel nostro lessico economico odierno: parole che al giorno d’oggi sono usate per riferirsi a “entità astratte” avevano invece un referente molto concreto quando sono state usate per la prima volta in un contesto economico.

È il caso degli stocks: molti di noi hanno sentito parlare di stocks o stock market (almeno tutti quelli che hanno visto i film The Wolf of Wall Street e The bit short – La grande scommessa). Attualmente il termine indica qualcosa che, pur esistendo nel nostro mondo, non sempre occupa uno spazio fisico, mentre all’inizio gli stocks erano oggetti concreti.

Infatti, durante il regno di Enrico II, che governò l’Inghilterra (e quasi metà della Francia) dal 1154 al 1189, i “bastoncini di credito” erano una delle principali forme di moneta e servivano per registrare i debiti. Nel suo già citato saggio, David Graeber afferma che, proprio come gli IOU,[1] anche questi bastoncini di credito funzionavano come le cambiali: il debitore e il creditore incidevano infatti su un ramoscello di nocciolo dei segni che indicavano la quantità dovuta e poi lo spezzavano. La parte conservata dal creditore era chiamata stock, impugnatura (da cui il termine stock holder, azionista), la parte spettante al debitore era lo stub (da cui deriva il ticket stub, la “matrice” del biglietto).

Gli esattori usavano gli stocks per calcolare il denaro dovuto agli sceriffi; gli stocks (le “azioni” nella terminologia attuale) finivano quindi nelle casse del dipartimento del Tesoro a garanzia del pagamento che prima o poi sarebbe arrivato; quando il debito veniva saldato, i bastoncini venivano infatti distrutti.

Se però il re aveva bisogno di riscuotere le tasse in tempi brevi,[2] gli stocks  venivano venduti a prezzi scontati; chi li acquistava li rimetteva in circolazione e i bastoncini erano accettati come “moneta” in quanto erano contrassegni del debito dovuto al governo - debito che prima o poi sarebbe stato saldato.


Lettere di cambio: i primi traveler’s checks della storia

Oltre agli stocks, nel Medioevo sono stati ideati, messi a punto e perfezionati molti altri strumenti e strategie economico/finanziari che hanno reso più libera, e quindi più florida, l’attività mercantile: qui analizzeremo brevemente le lettere di cambio, antenate dei traveler’s checks e le note di banco, da cui deriveranno poi le banconote.

La lettera di cambio è la prima forma di cambiale comparsa in Italia fin dal 1150 e diffusasi poi in tutta Europa per la sua praticità. Si tratta di un atto notarile con cui il prenditore (il banchiere) attesta di aver ricevuto un versamento dal cliente, il datore e ordina a un altro banchiere attivo su un’altra piazza di pagare a un determinato beneficiario una certa cifra, calcolata detraendo dal totale versato dal cliente le percentuali di guadagno dei vari operatori.

 

Per esempio, un mercante che viaggiava da Parigi a Roma poteva depositare 100 monete presso un banchiere parigino, il quale gli dava “in cambio” una lettera su cui era indicato il nome del mercante e la cifra versata (per esempio 99 monete, perché una se la teneva il banchiere come commissione).

Lungo il percorso, ogni volta che il mercante aveva bisogno di liquidità, si recava presso un banchiere “associato” al primo e mostrandogli la lettera di cambio, poteva prelevare una quota, sempre lasciando una commissione al banchiere di turno, il quale a sua volta aveva liquidità perché molti altri mercanti avevano depositato presso di lui le loro monete.

Le lettere di cambio permettevano quindi di spostare capitali da una piazza all’altra senza muovere fisicamente il contante, sventando così il rischio di smarrirlo o di venire derubati dai predoni di terra e di mare, che sempre hanno funestato i viaggi dei mercanti (e anche dei turisti).[3]

 

Secondo la maggior parte dei medievisti e degli economisti, gli “inventori” delle lettere di cambio furono i Templari, infatti, benché la Chiesa avesse introdotto il divieto di prestito su interesse, che configurava il peccato di usura, molte istituzioni religiose esercitavano il credito nel Medioevo: in primis i monasteri e l’ordine dei monaci Templari, la cui “'attività bancaria” si era sviluppata sul meccanismo del “buono di deposito”.

Quando un cristiano doveva partire per un pellegrinaggio in Terrasanta o in qualsiasi altro luogo (santo o meno) della cristianità, prima d’incamminarsi consegnava ai Templari della sua zona la somma che prevedeva di usare durante il viaggio. Il fratello Tesoriere gli consegnava la lettera di cambio, che indicava il totale depositato ed era autenticata dal sigillo dell’ordine.[4]

Ogni volta che il pellegrino aveva bisogno di “contanti” si recava nella più vicina commenda templare (che erano come oggi i bancomat: ovunque)[5] e mostrando la lettera di cambio poteva prelevare parte del capitale versato in moneta locale, meno la percentuale trattenuta dall’Ordine per la gestione di tale servizio di cambio-valuta offerto ai pellegrini, comparabile all’odierno traveler’s check.

 

Proprio come la lettera di cambio, anche il traveler's check [6] permette al turista di avere con sé la somma di denaro che desidera, senza timore di perdere il contante o di essere derubato. Infatti, all’atto dell’acquisto il cliente appone una firma sugli assegni che potranno poi essere usati per i pagamenti. Per poter essere accettati, ossia riconvertiti in contanti, i traveler's checks devono essere firmati una seconda volta.

Durante il XX secolo i traveler's checks sono stati uno dei mezzi di credito più usati dai viaggiatori, ma il loro utilizzo è in forte calo da quando esistono alternative più accessibili, come le carte di credito e di debito e i bancomat, da cui è possibile ritirare direttamente le banconote, pagando delle commissioni, proprio come il mercante medievale lasciava ai banchieri una parte delle monete affidate in deposito.[7]


“Lira di Dio”: note di banco, banconote e bancarotta

Il termine banconota deriva dall’espressione nota di banco, che fin dal 1200 designava il documento che permetteva al possessore di ritirare i preziosi depositati presso un banchiere, chiamato così proprio perché operava su un banco di legno. Ma come nacque l’idea delle note di banco?

Al principio era il tempio, e il tempio era presso Dio, e il tempio era di Dio, e i suoi sacerdoti emettevano le note di banco…

Le prime attestazioni di attività di deposito e prestito risalgono infatti al 3000 a.C., quando i Babilonesi idearono il sistema bancario, nel quale i templi dedicati alle varie divinità operavano anche come “prestatori”. Tali edifici dapprima sorsero come deposito per le offerte dai fedeli e come “casa” dei sacerdoti, ma quasi subito, per via del loro status “sacrale” che li rendeva luoghi inviolabili (pena la vendetta implacabile del dio di turno) i santuari furono destinati anche a ospitare i “tesori”, cioè edifici che custodivano le riserve auree e argentee del regno.

Avendo a disposizione moltissime ricchezze, i sacerdoti iniziarono a concedere prestiti su interesse.[8]

In Grecia e a Roma operavano poi anche i trapeziti e gli argentari, la cui attività principale era quella di cambiavalute[9] e che collateralmente accettavano anche denaro in deposito su interesse, che poi prestavano a un interesse più alto.

Tutte queste attività si svolgevano tramite le note di banco, che costituiscono di fatto un altro passaggio nel processo di smaterializzazione della moneta cui si accennava all’inizio dell’articolo.

 

Perfino il termine “bancarotta”, derivato proprio dal “banco” di legno su cui esercitavano i banchieri, ha subito lo stesso processo di “astrazione” che caratterizza il concetto di ricchezza, che da materiale è diventata ormai digitale. Infatti, se adesso la parola bancarotta è solo un sinonimo di “fallimento”, nel Medioevo indicava la condizione in cui si trovava il banchiere insolvente, al quale veniva letteralmente e materialmente spaccato il banco, a indicare la fine della sua attività.


Nel prossimo pezzo scopriremo come i banchi degli orafi abbiano dato origine alle banche odierne e come siano nate poi le banche-dati su cui si basano gli algoritmi del debito.

Resta connesso.

Stella Picarò


[1] https://www.iourdiceciliabeia.com/notizie/benvenuto-in-iour

[2] Per esempio, per muovere guerra a suo cugino Stefano di Blois, usurpatore del trono. Questa nota può sembrare superflua, in realtà è utile per capire la tesi di Dravid Graeber, secondo il quale i mercati nascono grazie alle guerre.

[3] Cfr. Enciclopedia Treccani – Dizionario di Storia (2010) – Voce: lettera di cambio.

[4] Il fratello tesoriere era una figura fondamentale di ogni commenda templare, ossia di ogni casa o castello adibito a ospitare uno degli innumerevoli gruppi di quest’ordine religioso di monaci guerrieri che era nato per difendere il Tesoro del Tempio e per scortare i pellegrini in Terrasanta e che ha finito per diventare una sorta di “holding bancaria” ante litteram. In questo articolo abbiamo citato più volte “il tesoro”, se vi interessa approfondire come il concetto di tesoro sia cambiato nella storia, fatecelo sapere.

[5] La potenza dei Templari, così come in seguito quella delle grandi famiglie di banchieri italiani, consisteva proprio nel fatto di essere presenti dappertutto sul territorio, ma questa fu anche la loro rovina. Nel 1300 l’ordine che stato fondato nel 1118 da appena 9 cavalieri era diventato così potente da poter finanziare le spese del papa e del re di Francia, sul cui territorio sorgevano la maggior parte delle commende. Quando i debiti di entrambi divennero troppi alti da pagare, il re Filippo il Bello e il papa Clemente V decisero semplicemente di eliminare l’ordine dichiarandolo eretico per incamerarsi una volta per tutte tutti i tesori accumulati dai cavalieri. Ma né il papa né il re poterono godersi le ricchezze del Tempio, giacché fecero poi esattamente la fine che aveva pronosticato loro Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro ufficiale dell’ordine, che dal rogo li aveva ammoniti che sarebbero morti entro l’anno: era l’11 Marzo 1314. Clemente V morì il 20 Aprile, Filippo il Bello spirò il 29 Novembre 1314.

[6] Detto anche assegno turistico o traveller's cheque.

[7] A parte le lettere di credito emesse dai Templari, i primi strumenti assimilabili ai traveler’s checks furono emessi nel 1772 dalla London Credit Exchange Company e potevano essere usati in 90 città europee. Nel 1874 comparvero le circular notes («note circolari»), che funzionavano come i traveler’s checks, finché nel 1891 l’American Express emise veri e propri traveler’s checks. Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/traveller-s-cheque_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/

[8] Alcuni famosi santuari-banca dell’antichità erano il tempio dedicato al dio Shamash in Mesopotamia, l’oracolo di Apollo a Delfi e il tempio di Apollo a Delo.

[9] I cambiavalute erano essenziali perché gli animali sacrificati nel tempio per placare la collera di una divinità o ringraziarla della sua benevolenza dovevano essere puri e solo i sacerdoti potevano attestare tale purezza. Le vittime dovevano quindi essere acquistate dai sacerdoti direttamente nel recinto del tempio, nel quale però, essendo un luogo sacro, non si poteva entrare con la moneta comune; bisognava perciò convertire la valuta volgare in moneta sacra. I cambiavalute ovviamente lucravano sull’attività di cambio e per questo Gesù rovesciò i loro banchi al tempo. Cfr. Marco 11, 7-9; Matteo 21, 8-19, Luca 19 45-48 e Giovanni 2, 12-25.

FOTO Sergey Klopotov / Shutterstock

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Un dio dai mille nomi