Un dio dai mille nomi

I nomi dei soldi - glossario del credito parte I

Dettagli banconote di diverso taglio raffiguranti occhi di personaggi famosi
 

“Non si può servire Dio e Mammona”, “il denaro è lo sterco del diavolo”, ma anche “pecunia non olet”; sono solo tre dei molti modi di dire legati al denaro.

Quasi tutti esprimono “dis-prezzo”, perché al denaro colleghiamo da sempre pensieri negativi, come la fatica che costa guadagnarlo, l’abbondanza che deriva dal furto o dalla speculazione (quasi mai – paradossalmente – dal duro lavoro), o all’opposto la mancanza, che causa indigenza…

I termini usati per riferirsi al denaro, però, indicano anche che la ricchezza può avere un valore positivo e può risiedere nell’uso “saggio” che del denaro dovrebbe fare “il buon padre di famiglia”. La storia dei nomi del denaro è interessante soprattutto perché si tratta di termini della lingua quotidiana: sono parole che rientrano nei proverbiali “conti della serva” e abbiamo pensato che risalire alle loro origini potrebbe essere interessante e utile.

Perciò in questo e nel prossimo articolo esploreremo i tanti nomi dei soldi in un tour etimologico che partendo dalla cambiale (di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente esaminando l’etimologia di I owe you), ci mostrerà vari aspetti della ricchezza: infatti i termini pecunia, moneta, salario, stipendio, parcella, remunerazione e perfino “Mammona”, pur riferendosi sostanzialmente allo stesso concetto - il denaro - lo caratterizzano in modi diversi e integrati.

 

Indice


Pecunia – non olet

I Romani adoravano molte divinità, tra cui anche Pecunia, dea della ricchezza e dell’abbondanza, alla quale si attribuiva anche una figlia: la dea Argentius, protettrice del denaro e degli uomini d’affari.[1] Il nome della dea Pecunia derivava dalla radice indoeuropea PEKU, che indicava qualsiasi “ricchezza mobile”;

secondo altri linguisti l’appellativo proveniva invece direttamente dal latino pecus, che significa “bestiame”, perché presso i popoli antichi il bestiame era una forma di ricchezza e di pagamento.[2]

Dalla stessa radice indoeuropea PEKU deriva anche il nome proto-germanico Fehu, che esprime il concetto di “ricchezza mobile”, ovvero ancora il bestiame, ed è collegato a vari termini di altre lingue indoeuropee, nonché ai vocaboli italiani “pecora”, “pecuniario” e alla locuzione “pagare il fio”.[3]

Il motto latino citato all’inizio dell’articolo, pecunia non olet, significa “il denaro non ha odore” e allude al fatto che il denaro è sempre – e solo – denaro: la provenienza non dà alcuna connotazione positiva o negativa al denaro, che è solo un mezzo.

La frase è attribuita da Svetonio all’imperatore Vespasiano, che tra il 69 e il 79 d.C. aveva istituito una tassa sull’urina raccolta nelle latrine gestite dai privati, chiamate da allora “vespasiani”. Al figlio Tito, che si vergognava della provenienza del denaro, il padre avrebbe rispostopecunia non olet”: da questa imposta infatti provenivano ingenti entrate, inoltre dall’urina raccolta si ricavava l’ammoniaca, usata per conciare le pelli.[4]

Tra le altre attività a cui diede impulso Vespasiano, vi furono anche la ricostruzione del Campidoglio e la realizzazione del Colosseo, ma l’imperatore è passato alla storia per la tassa sull’urina, e non per la politica finanziaria illuminata con cui risollevò il fisco e l’erario, eppure anche queste informazioni sono riportate nelle stesse Vite dei Cesari di Svetonio da cui è tratto l’aneddoto sopra citato. A volte la memoria selettiva agisce in modo davvero imprevedibile.


Moneta e zecca

Moneta è un’epiclesi, parola greca che significa “invocazione”, era cioè l’attributo con cui ci si rivolgeva a una divinità all’inizio di una preghiera. “Moneta” era l’attributo con cui s’invocava Giunone e deriva dal verbo latino moneo, ammonire. Giunone era dunque “l’Ammonitrice”, “la Consigliatrice” del suo popolo. Tale ruolo le fu riconosciuto ufficialmente dopo la sconfitta dei Galli, che nel 396 a.C. stavano assediando Roma capeggiati da Brenno. Secondo la leggenda, le famose oche del Campidoglio, sacre alla dea, nottetempo presero a starnazzare per avvisare i cittadini del pericolo, svegliando così l’ex console Marco Manlio, che diede l’allarme.

Qualche decennio più tardi, nel 345 a.C., dove un tempo sorgeva la casa di Marco Manlio venne eretto un tempio consacrato a Giunone Moneta.[5] L’edificio accoglieva l’esemplare autentico del “piede romano”, che era la principale unità di misura romana autorizzata e che proprio dal luogo dov’era conservato derivava l’altro suo nome: pes monetalis, piede monetale.

Nel 269 a.C., nei pressi del tempio venne edificata la zecca, anch’essa posta sotto la protezione della Dea Moneta. Nel linguaggio popolare l’attributo della dea venne esteso prima all’edificio e poi a ciò che vi si coniava, ossia la moneta. Per altro, la parola “zecca” deriva dall’arabo “dar as sikka, che significa “casa della moneta”.

Né del tempio, né dell’edificio della zecca eretto nel 269 a.C. restano tracce: entrambi andarono distrutti nel 64 d. C., durante il grande incendio di Roma voluto da Nerone. La zecca venne spostata sul monte Celio, dove rimase fino alla fine del III secolo, e fu poi traslata molte altre volte.


Salario, stipendio, parcella e remunerazione

Al mondo romano dobbiamo anche il termine salario, che attualmente indica il pagamento del lavoro dipendente operaio (i colletti blu); lo stipendio è invece la retribuzione del lavoro dipendente di impiegati e funzionari (i colletti bianchi), mentre i termini onorario e parcella si riferiscono alla remunerazione del lavoro di professionisti indipendenti (avvocati, medici, commercialisti).[6] Il salario, quindi, etimologicamente, è più antico dello stipendio, e la parola deriva dall’uso latino di pagare gli operai con una razione di sale.[7]

A titolo di pura curiosità, nell’Antico Egitto la moneta si affermò molto tardi, e per svariate dinastie faraoniche l’economia continuò a fondarsi sui cereali, conservati nei granai statali. I pagamenti (inclusi gli stipendi dei funzionari) consistevano in una botte di birra e una quota di cereali, che venivano ritirati dal granaio-banca solo per i consumi immediati.

Abbiamo citato anche “remunerazione” come sinonimo di retribuzione e stipendio; anche questa parola deriva dal latino: munus era infatti il dono e remunerare significava propriamente “restituire il dono”; è poi passato all’italiano col significato di “ricompensare di un beneficio o di un servizio” indicando poi per estensione anche il pagamento in denaro.


Mammona

Concludiamo questa prima tappa nelle etimologie tornando a Mammona, che ancora una volta indica un dio collegato al denaro; il termine deriva infatti dall’ebraico ma ha un’etimologia incerta. Secondo alcuni linguisti viene dalla radice matmon, che significa ricchezza o tesoro; altri lo collegano alla radice ‘mn, che indica fiducia, e da cui arriva anche la parola amen; altri ancora lo riferiscono al termine mun, “provvedere il nutrimento”. Il significato dei campi semantici converge comunque sempre nel concetto di una sicurezza materiale.

Altri studiosi collegano la parola al fenicio mommon, “beneficio” e ai nostri giorni il lemma è usato con lo stesso significato in molte lingue.[8]

Nella Bibbia Mammona è citato come la personificazione del Diavolo in Luca 16,13 e Matteo 6,24.[9] Sant’Agostino lo nomina quando ammonisce: Facite vobis amicos de Mammona iniquitatis, ossia “vi fate amici delle iniquità di Mammona”.

Nel IV secolo d.C., San Gregorio di Nissa spiegava che Mammona era solo un altro nome di Belzebù e ancora nel XV secolo, nelle Visioni dell’Inferno, Santa Francesca Romana affermava che i principali spiriti maligni che obbediscono a Lucifero sono tre: Asmodeo, demone della carne; Belzebù, demone delle idolatrie; e Mammona, demone dell’avarizia.

Per tutto il Medioevo Mammona venne additato anche come demone dell’ingiustizia e della ricchezza (concetti sempre legati), e per certi aspetti ricorda il dio greco Ade, il Plutone romano. Non a caso Dante nella Divina Commedia descrive Plutone come un demone della ricchezza dalle sembianze di lupo, animale che nei bestiari medievali simboleggiava l’avarizia.[10]

Stella Picarò


[1] Cfr. Giuseppina Sechi Mestica, Dizionario universale di mitologia, Rusconi, Milano, 1994.

[2] Secondo il Barrow, infatti, essendo i primi abitanti di Roma dei pastori: “i loro primi culti, le prime cerimonie religiose avevano attinenza con le necessità del gregge: l’offerta più antica fu il latte, non il vino; e il bestiame posseduto era indice di ricchezza”. Cfr. R. H. Barrow, I Romani, Milano, Il Saggiatore e Arnoldo Mondadori Editore, 1962, pag. 31.

[3] Inglese fee “tassa”; tedesco Vieh e olandese Vee “bestiame”; sanscrito pashu, “bestiame”;

L’indoeuropeo è la lingua madre da cui si sono sviluppate in seguito tutte le altre lingue indoeuropee, tra cui anche il sanscrito, il latino, il greco e il proto-germanico, che viene citato nel testo, e che sarà poi il “progenitore” di tutte le lingue germaniche (tra cui il tedesco, l’olandese e lo stesso inglese).

[4] Cfr. Svetonio, Vite dei Cesari, VIII, 23, 3.

[5] Per questa etimologia cfr. Giulio Giannelli, inVocabolario Treccani. Secondo altri linguisti, l’epiteto Moneta deriverebbe dal nome delle monete puniche: machanath. Giunone avrebbe quindi ricevuto l’epiteto perché il suo tempio era vicino alla zecca, dove si coniavano appunto le machanath. che in latino divennero le monetae. Cfr. E. Assmann, in Klio, VI (1906), pag. 477 segg.

[6] Cfr. Vocabolario Treccani.

[7] Il salarium era la “razione di sale”, poi “indennità per l’acquisto di sale e altri generi alimentari concessa ai funzionari della magistratura e dell’esercito”, quindi, nel latino imperiale indicava genericamente lo stipendio o la retribuzione. Cfr. Vocabolario Treccani.

[8] Finlandese mammona; danese mammon; ebraico mamon; norvegese mammon; polacco mamona e tedesco Mammon.

[9] “Non potete servire a Dio e a mammona”, è il versetto citato all’inizio di questo articolo, divenuto proverbiale.

[10] San Tommaso d’Aquino descrive il peccato d’avarizia come “Mammona, che un lupo fa risalire dall’inferno, e che giunge per infiammare il cuore umano d’Avarizia”.

FOTO William Potter /Shutterstock

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