Come nascono le banche?
Lo “Stato nello Stato”: orafi, usurai e monti dei pegni
Molti pensano che la banca si occupi solo di erogare prestiti, mutui e finanziamenti, ma gli istituti bancari fanno anche altro:
1. accettano in deposito somme di cui garantiscono la salvaguardia,
2. usano il risparmio raccolto per sostenere gli investimenti,
3. assicurano il cambio delle monete e l’invio di valuta su lunghe distanze.
In passato queste funzioni si svilupparono separatamente perché i soggetti dediti al commercio e più tardi al commercio del denaro erano molti e variegati, e solo gradualmente tutte queste e altre attività “finanziarie” confluirono in un’unica impresa.
Come si è visto negli articoli precedenti, la storia delle banche è millenaria: in principio erano i sacerdoti dei templi e gli orafi e solo svariati secoli dopo sorsero le banche come le conosciamo oggi.
Indice
Dagli orafi ai banchieri
Come abbiamo visto nel terzo articolo,[1] nel 3000 a.C. i Babilonesi idearono un sistema bancario in cui i templi dedicati alle varie divinità non solo elargivano prestiti, ma accettavano anche depositi, dal momento che, essendo tali edifici sacri e inviolabili, non c’era posto migliore per mettere al sicuro i tesori e le riserve metallifere dello stato.
L’attività creditizia e di deposito è quindi molto antica, ma i suoi strumenti e il suo gergo sono più recenti: risalgono infatti “solo” al Medioevo.
All’inizio dell’anno Mille, infatti, la crescente produzione agricola, l’affermarsi dell’artigianato e il fiorire del commercio marittimo aumentarono il bisogno di moneta e stimolarono la diffusione del credito.
La “tecnologia” della cartamoneta, che in Cina era in uso già dal XIII secolo, come attesta Marco Polo ne Il Milione, si afferma quindi in Europa un secolo più tardi, quando i mercanti comprendono che depositare il denaro presso un banco, ricevendone in cambio appunto una lettera di cambio (che si chiamerà poi nota di cambio) che attesti il valore del deposito, è molto più agevole e più sicuro che viaggiare trasportando monete sonanti, che pesano, possono essere rubate o perdute e vanno comunque convertite in valuta locale ogni volta che si oltrepassa una dogana.[2]
Le monete d’oro e d’argento dei mercanti iniziarono quindi a confluire non più e non solo nei templi, ma anche nei banchi di cambio gestiti dagli orafi, “i quali custodivano anche gioielli e altri preziosi, che restituivano trattenendo un compenso per i servizi resi di deposito e cambio.
Poiché i clienti non ritiravano quasi mai tutto il deposito in un solo prelievo, gli orafi constatarono che, in condizioni economiche ordinarie, i depositi erano maggiori dei prelievi, quindi una parte dell’oro depositato dai clienti (su cui gli orafi guadagnavano già la percentuale per le operazioni di deposito e cambio) poteva essere reinvestita per produrre altri utili.
La trasformazione da orafo a banchiere si completò quando questi operatori economici iniziarono a creare nuova ricchezza stampando le note di banco, che i mercanti preferirono sempre di più alle monete, che venivano lasciate in deposito.
Ciò permise ai banchieri di emettere un numero sempre crescente di note di banco, che venivano garantite da quello stesso oro lasciato in deposito, il quale al contempo rappresentava la garanzia di altre note di banco rilasciate ad altri clienti.
“In soldoni”, ciò significa che i banchieri avevano una commissione all’accettazione del deposito, e un guadagno suppletivo derivante dal fatto stesso di avere il deposito.
Se vi sembra che guadagnare due volte sulla stessa somma depositata non sia molto “cristiano”, sappiate che anche allora la pensavano così…
Gli usurai: ebrei e “lombardi”
I più importanti attori della vita economica dell’Europa dell’anno Mille non erano però gli orafi, ma i prestatori, che potevano essere grandi proprietari terrieri, ricchi mercanti, gli ordini religiosi cavallereschi (Templari, Ospitalieri, Cavalieri Teutonici),[3] e soprattutto gli ebrei.
Quest’ultimo gruppo portava da quasi un millennio lo stigma di “popolo deicida”, che la Chiesa continuava ad alimentare affermando che tutti gli Ebrei erano traditori e avidi di denaro, proprio come Giuda, che aveva venduto il Cristo per 30 denari[4]
Quindi, se da una parte erano emarginati, dall’altra essi stessi sceglievano di non integrarsi nelle comunità cristiane con cui venivano in contatto, per restare fedeli alle proprie tradizioni, alla lingua e soprattutto ai rigidi precetti religiosi che seguivano da millenni.
Gli ebrei furono pertanto banditi da tutte le attività professionali organizzate in gilde o corporazioni, anche perché, soprattutto all’inizio, le corporazioni nascevano per garantire una mutua assistenza e la difesa dei propri membri, uniti dalla stessa confessione religiosa cristiana.
Automaticamente esclusi, la nicchia economica rimasta disponibile per gli ebrei era proprio l’attività finanziaria, che ai cristiani era interdetta per legge e per confessione.
Quando, nella seconda metà del XIV secolo, la Chiesa permise invece anche ai cristiani di guadagnare coi prestiti a interesse, pose però alcune condizioni, tra cui il reimpiego di una parte dei profitti in abbellimenti di chiese e opere di bene, il che permise anche a vari ordini religiosi di prosperare.
Dice infatti il Vangelo: “Se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi”.[5]
Gli ebrei si specializzarono quindi nell’attività di prestatori su pegno, chiedendo interessi molto elevati perché altissimi erano anche i rischi che correvano.
Infatti, i gestori dei banchi ebraici potevano trovarsi segregati o scacciati dalla città in qualsiasi momento; ma potevano anche non trovare nessuno tra i cittadini cristiani disposto a comprare i pegni messi in vendita; infine poteva accadere anche che la giustizia pubblica negasse loro di rivalersi legalmente sul debitore (di solito un mercante cristiano), proprio come accade a Shylock ne Il mercante di Venezia di Shakespeare.
L’alto tasso d’interesse imposto dagli ebrei, di solito regolato dalle autorità municipali tramite accordi chiamati “condotte”, era dunque funzionale a coprire il rischio al quale si esponevano i prestatori.
Le condotte stabilivano anche per quanti anni poteva operare ogni banco ebraico e l’ammontare massimo del capitale da investire.
I banchi ebraici però non occupavano ancora il gradino più alto dell’attività finanziaria. Più in su di loro c’erano infatti i “Lombardi”, provenienti soprattutto dal Piemonte (Asti, Chieri, Alba, Cuneo), dalla Lombardia e dalla Toscana e che presto si organizzarono in piccole società che pagavano ai governi locali una tassa annua in cambio di vari privilegi.
Per esempio, i Frescobaldi, una delle famiglie più potenti di Firenze, riuscirono a stringere affari coi re d’Inghilterra, ai quali prestarono somme ingenti in cambio di privilegi,[6] finché nel 1300 ottennero addirittura la direzione dell’Exchange, l’ufficio centrale del cambio, che permise loro di controllare l’intera politica monetaria del Regno.
Oltre al commercio, i “Lombardi” svolgevano anche operazioni di cambio e creditizie, concedendo prestiti solo per pochi mesi e chiedendo un tasso d’interesse superiore al 40% annuo, che allora era comune e accettato. Le loro aziende, dette casane, si presentavano principalmente come banchi di pegno e i “Lombardi” erano al contempo ammirati per la loro superiorità economica e disprezzati per la loro spregiudicatezza.
Per questo motivo storico, in alcune lingue nordiche ancora oggi la parola lombard identifica il prestatore su pegno e una delle principali strade della City di Londra porta ancora il nome di Lombard Street in ricordo del luogo in cui questo gruppo operava.[7]
Lo “Stato nello Stato”: compere e monti dei pegni
La situazione economica europea del Basso Medioevo era quindi molto complessa:
i mercanti dovevano ricorrere ai cambiatori, ai prestatori e agli usurai; gli ordini cavallereschi stavano diventando troppo potenti e ramificati e presto sarebbero stati smantellati con l’accusa di eresia e blasfemia. I comuni e gli stati avevano iniziato ad acquisire più autonomia politica e per conquistarne sempre di più, ricorrevano ai prestiti sia per la guerra che per le arti – il mecenatismo infatti è uno dei segni più chiari della potenza e ricchezza di una famiglia.
In questo intricato sfondo socio-economico s’inseriscono i “monti”; infatti, ogni volta che un comune, una signoria o uno stato aveva bisogno di un prestito, i privati cittadini più ricchi si riunivano in società dette “monti” o “compere"”, che venivano poi sciolti alla restituzione del prestito.[8]
Quindi nei primi anni queste società si formavano e scioglievano ad ogni nuova richiesta di prestito, mentre in seguito vennero riunite in un “monte” o “compera” unico per ogni Stato: fu così che nel 1343 nacque il Monte Comune di Firenze e che nel 1407 a Genova si costituì la Casa delle compere e dei banchi di San Giorgio.
Tale istituzione pubblica finì per occuparsi anche della gestione del debito pubblico e svolse così tante attività finanziarie che Machiavelli lo definì uno “Stato nello Stato”, poiché i genovesi si riconoscevano molto più in essa che nel governo.[9]
Il complesso panorama sociale, economico e religioso dei secoli tra il 1200 e il 1400 era un puzzle con infiniti pezzi, infatti quasi ogni città aveva la propria lingua, la propria moneta e la propria legislazione; la Chiesa dispensava e proibiva alternativamente il sapere a seconda delle famiglie da cui provenivano i vari papi e infine, benché il mercato fosse molto fiorente, l’attività più redditizia era (allora come oggi) la guerra.
In questa condizione politica e spirituale così controversa iniziò a svilupparsi anche la riflessione sulla ricchezza, il commercio e l’usura in un tentativo di coniugare il “Libro sacro” coi libri contabili.
Se vuoi saperne di più, resta connesso.
Stella Picarò
[1] https://www.iourdiceciliabeia.com/notizie/lira-di-dio
[2] Per capire l’entità dei ricavi derivanti dalle attività di cambio, si pensi che dopo il 1183 dopo la vittoria dei comuni sul Barbarossa, le città abbastanza grandi avevano ottenuto il diritto di conio, pertanto quando si andava, per esempio, da Milano a Venezia, bisognava fare circa una decina di cambi. Se vuoi scoprirne di più sulle monete in uso nei vari comuni italiani, faccelo sapere.
[3] https://www.iourdiceciliabeia.com/notizie/lira-di-dio
[4] Dogma sconfessato poi nel 1965 nel Concilio Vaticano II.
[5] Luca 6,34-35.
[6] Tra cui l’appalto delle miniere del Devon, la riscossione dei diritti regi in Irlanda o l’esazione delle rendite di gran parte dei possedimenti inglesi in Francia.
[7] Oltre agli ebrei e ai “Lombardi”, c’era un terzo gruppo sociale dedito al prestito a usura, erano i cosiddetti “caorsini”, ricordati anche da Dante nell’XI canto dell’Inferno. Cfr. Graziella Buccellati Mantovani e Claudio Proserpio, La banca e la borsa, Mondadori, 1978 e Pierre Léon (a cura di), Storia economica e sociale del mondo, Laterza, 1981.
[8] La Repubblica di Genova istituì le prime “compere” già nel 1149: i cittadini associati anticipavano il capitale allo stato, che s’impegnava a restituirlo senza interessi ed entro un termine prestabilito.
[9] Per inciso, i monti dei pegni senza interessi erano del tutto assenti nei territori della Serenissima, in quanto avrebbero sostituito l’attività di prestito (a usura) degli ebrei, su cui si basava la vita economica e politica della stessa Repubblica di Venezia. Soltanto nel 1806 Napoleone Bonaparte riuscì a istituire un Banco Pignoratizio Comunale.
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